Ecco, probabilmente Juan Román Riquelme è stato un po’ di tutto questo. El Mudo, colui che preferisce lasciar parlare i piedi, pronti ad affrescare traiettorie impensabili per i mortali. Un basamento, perché intorno a lui si è imperniato per anni il gioco di un club scolpito nel suo destino: il Boca Juniors. E, infine, uno di quei colpi a vuoto, quando il cuore canna la pompata e ti suggerisce una frazione d’istanti a contatto con la morte: lo spazio siderale in cui si infilano tutti i sogni che puoi, specialmente quelli che non hai realizzato.
Juan, però, è soprattutto quest’ultima cosa: un tessitore di desideri. Per vent’anni ha illuminato la scena mondiale con il suo bagliore iridescente, ultimo anello di congiunzione con una discendenza mitologica che oggi, probabilmente, si è estinta per sempre.
In mezzo al campo o sulla trequarti, il suo incedere assomiglia sempre ad un caracollare lento, ma inesorabile. La cadenza dei suoi passi ricorda un tango danzato a San Fernando, la sua città natale. Una serie di movenze tantriche, un controverso assemblaggio di idee difficili anche soltanto da immaginare, messe giù con una semplicità a tratti disarmante.
Le divinità del calcio, del resto, sembrano divertirsi nel gettare a caso zaffate di polvere di talento giù dal cielo. Una enorme partita è sicuramente finita tutta addosso a Riquelme, lasciando gli altri a grattare via la polvere colorata infilata tra i pertugi del terreno.
Al Boca lo amano perché è autentico come i suoi dribbling imperiosi. Per le sue punizioni, che sono sentenza mortifera e limonata compulsiva con la bellezza al tempo stesso. Per le sue innate doti da leader silenzioso: non serve gridare e correre come spiritati in giro per il campo. Il pallone deve girare. Qualità, qualità, qualità. Vuoi recitare un mantra? Eccolo.
La maglia Xeneizes estensione dell’anima, Riquelme è una fabbrica di colpi insensati, un prestigiatore delle emozioni, la semi divinità alla quale appigliarsi quando tutto intorno si sfracella.
Abrazame hasta que vuelva Roman, sta scritto su uno dei muri della Bombonera.
Abbracciami finché non torna Roman. Come fai a descrivere un idillio? Come lo cicatrizzi, un sentimento così? Probabilmente, infilando cinque parole a comporre una frase che racchiude l’essenza stessa del romanticismo, altro che John Keats.
Azul y oro dentro, da sempre e per sempre. Quando le cose stanno così, lasciarsi assomiglia ad un delitto. Farlo per due volte uno strazio. Solo chi ha vissuto un amore totalizzante può capirlo: la vita che poteva essere e non sarà mai più è probabilmente il dolore più intenso possibile. Prima la Spagna. Poi il ritorno. Quindi l’addio definitivo.
In mezzo a tutto questo contorcersi si scorgono tuttavia isole luminose, che distribuiscono quiete temporanea. Perché quelle 287 presenze al Boca sono esistite sul serio. Così come quei 63 goal. Come tutte le volte che ha strappato un sorriso o distribuito mezza speranza.
Forse una fotografia sgualcita riposta nella tasca posteriore dei jeans non ha che fare con l’amore vero. Di sicuro, ci si avvicina abbastanza.